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Seguire il dibattito in corso in questi ultimi mesi sulla grave questione riguardante la pillola abortiva RU 486, può risultaredifficile per chi non è particolarmente addentro alle questionie alle terminologie medico-tecniche-giuridiche.
Cercherò, con questo piccolo saggio, di fare un pò di chia- rezza, di squarciare il fitto velo di equivoci, di menzogne e di in-ganni che ha sempre accompagnato gli ultimi terribili attacchialla vita da parte di una certa ideologia utilitaristica, fortemen-te presente, purtroppo, nel nostro Paese, abile a presentare devastanti derive etiche ed umane come battaglie di civiltà. Tra il 2006 e il 2007 la RU 486 già si utilizzava in alcune Re- gioni (Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Puglia,per un totale di 2161 casi), ma previo acquisto della sostanzaall’estero. Ricorderete che, qualche anno fa, l’allora Ministrodella Salute, Francesco Storace, ne fermò l’iter a seguito delcaso di una donna che, assunta la prima pillola nell’ospedaleS. Anna di Torino, fu mandata a casa per proseguire l’aborto estava lasciandoci la pelle per emorragia.
Ma perché ora se ne riparla? Cosa è cambiato? Perché c’è chi si accanisce nel pretenderne la diffusione di massa e chi in-vece mette in guardia dalla sua capacità potenzialmente dop- piamente occisiva? Cos’è, insomma, questa RU 486, dalla de-nominazione criptica da laboratorio tecnologico? Molti avranno letto o sentito dire che viene presentata come la migliore risposta utile a superare il dramma dell’aborto chi-rurgico e, soprattutto, che quasi tutti i Paesi “civili” ne consen-tono l’uso e invece l’Italia, come sempre su questi temi, vieneappellata come arretrata, retrograda, integralista, intollerante,medioevale, vaticanista… (ho scordato qualche epiteto?).
La verità è che l’aborto chimico non è affatto meno traumatico dell’aborto chirurgico e cercherò di seguito, diportare le ragioni a fondamento di questa affermazione.
Per la questione poi della civiltà, forse bisognerebbe con- frontarsi più seriamente su cosa veramente siano civiltà e pro-gresso. Non è mia intenzione affrontare la questione ora, poichéci porterebbe molto lontano. Voglio solo porgere in tal sensouna riflessione: il governo Zapatero ha di recente approvato undisegno di legge che consente l’aborto praticamente libero an-che per le sedicenni (provvedimento contro il quale ad ottobresono scese in piazza due milioni di persone, tra cui, posso dir-vi, perché c’ero, soprattutto giovani e famiglie). Questo è soloultimo anello di una lunga catena di provvedimenti adottati:matrimonio civile tra omosessuali con possibilità di accesso all’adozione, divorzio lampo, depenalizzazione dell’eutanasia,ricerca scientifica senza limiti sugli embrioni, pillola del giornodopo senza ricetta… Di tali provvedimenti si è fieramente van-tata la portavoce del governo, Maria Teresa Fernandez de Vega,che così ha dichiarato: “Con questi provvedimenti la Spagna si situa così all’avanguardia dell’Europa e del mondo”…. Diche avanguardia stiamo parlando? Di che progresso? Di qualidiritti? Di quale civiltà? Sono madre di tre figli e con tutte leforze mi auguro che vivranno in una civiltà ben diversa da quel-la profilata dalla signora De Vega.
Siamo immersi in una cultura dominante laicista, che of- fende la dignità umana, banalizza la sessualità e usa le sue stra-tegie e i suoi attacchi più forti proprio dove la vita umana èpiù debole, alle sue frontiere: all’alba e al tramonto, alla vitaprenatale e alla vita terminale, attacchi sferrati congiuntamen-te alla vita e alla famiglia. Mai come in questi ultimi anni, infatti,la questione etica del diritto alla vita e della difesa e promozionedella famiglia fondata sul matrimonio sembrano essere al cen-tro del dibattito culturale e politico di molti Paesi. In realtà è undibattito solo apparente, perché culturalmente domina un lai-cismo assolutista e intollerante, che non ammette di esserecontrastato e rifiuta il dialogo, accusando i cattolici di impor-re la loro visione, la loro morale a chi cattolico non è. Si invocalo “Stato laico”, dimenticando che uno stato laico affonda le proprie radici nei diritti umani, primo tra tutti il diritto allavita; dimenticando che il riconoscimento della famiglia qualesocietà naturale fondata sul matrimonio non è un’opinionedella Chiesa, ma, oltre che appartenere alla legge morale naturale, un’affermazione presente in molte costituzioni, in quella italiana esplicitata all’art.29.
Tale diritto, quando ad esempio trattiamo temi come la difesa della vita e della famiglia, in questa nostra epoca vienespesso negato dal laicismo imperante cui facevo prima riferi-mento, dal quale anzi è spesso considerato una sorta di “fis-sazione” dei cattolici, in cui viene, per gentile concessione,permesso di credere, purché privatamente, all’interno delle segrete stanze dei conventi. Ma sono convinta che la questio-ne etica e antropologica del diritto alla vita va affrontata conserenità ma con determinazione e chiarezza. Il progressoscientifico e tecnologico rispetto ai nuovi scenari, nonassume il giusto significato se non si pone al centrol’uomo, la persona umana. A volte ho l’impressione che tra i cattolici vi sia una sorta di “complesso di inferiorità cultura-le”. A volte sembra che le accuse, immancabili, di essere “oscu-rantisti, medioevali, talebani” che ci vengono rivolte quandoparliamo in difesa del diritto alla vita, abbiano sortito il loro effetto intimidatorio. A chi ci accusa di essere antidemocraticiperché imporremmo la nostra morale ad un stato laico, bisognaavere il coraggio di rispondere che il diritto alla vita non ha enon deve avere colore né religioso né politico: il piccolo bam-bino concepito non è un “fatto politico” non è un “invenzionedella chiesa”: è un figlio! Il più piccolo, il più debole, il più indifeso figlio della comunità umana. Ciò premesso, il “popo-lo della vita”, come Giovanni Paolo II ci chiama nell’Evange-lium vitae, è chiamato però ad una testimonianza più forte.
Come rassegnarsi di fronte ai 53 milioni di aborti all’annonel mondo? Chi, se non il popolo della vita, potrà essere la voce di chi non ha voce, del più piccolo dei nostri fratelli, che,nei Paesi in cui è permesso, rischia di essere vivisezionato, gettato in uno scarico, buttato in un lavandino se, malaugura-tamente “non perfetto”, considerato non degno di vivere, in quanto la sua “qualità di vita” sarebbe inaccettabile? Cheruolo ha la donna in tutto questo? Mi piace qui ricordare unagrande donna: Madre Teresa di Calcutta, la quale, nel ricevereil Premio Nobel per la pace, nel suo discorso a tutti i governan-ti del mondo, affermò “Quale pace se non salviamo ogni vita?L’aborto è la più grande minaccia alla pace nel mondo, perchése permettiamo ad una madre di uccidere il proprio figlio, chipotrà impedire me e te dal farlo reciprocamente?”. I santi han-no sempre le idee chiare, costruiscono le vere civiltà, quelle che non crollano, perché basate sull’amore. Ecco, questa è la civiltà in cui mi riconosco. Questa è la civiltà che milioni di persone, milioni di donne sperano per i propri figli.
1980. Viene messo a punto il mifepristone da una equipe di chimici e endocrinologi del laboratorio franceseRoussel-Uclaf, una società controllata dal Governofrancese e dal gruppo tedesco Hoechst.
1982. Il professore Etienne-Emile Baulieu presenta all’Acca- demia delle scienze i risultati clinici di una nuova so-stanza anti-progesterone: il mifepristone. Codificatacome RU 38486, diventerà la RU 486. Sperimentatanell’ospedale universitario di Ginevra, permette diabortire a sette donne tra le sei e le otto settimane di gravidanza.
1983. La Roussel-Uclaf firma un accordo con l’Organizza- zione mondiale della sanità (Oms) e l’Unfpa, che sonoagenzie Onu. Il prodotto viene considerato utilissimoper “diradare” le popolazioni dei paesi poveri, soprat-tutto dove non esistano presidi chirurgici adeguati perpromuovere l’aborto su scala mondiale.
1984. Uno studio sperimentale in Svezia, sponsorizzato dal- l’Oms, mostra che se alla RU 486 si unisce una pro-staglandina (misoprostol) che provoca contrazioni del-l’utero, il feto viene espulso più facilmente e il metododiventa “efficace” per circa il 95 per cento dei casi.
1988. La Roussel-Uclaf ottiene l’autorizzazione per la Francia a immettere sul mercato la RU 486, ma scoppia laprotesta delle associazioni pro-life, tanto che un mesedopo la ditta annuncia la sospensione della distribu- zione del prodotto sia in Francia che all’estero. Inter-viene Claude Evin, ministro socialista della Sanità,convoca il vice presidente della compagnia e ordina diriprendere la produzione della pillola abortiva, defi-nendola, con un’espressione diventata tristemente fa-mosa “proprietà morale delle donne”.
1989. Durante la presidenza Bush padre, la Food and Drug Administration statunitense vieta l’importazione delfarmaco per uso personale. Nello stesso anno vieneautorizzata in Svezia.
1991. È autorizzata in Gran Bretagna e di seguito in Sviz- zera. La Roussel-Uclaf rifiuta di commercializzarla inCina, dichiarando che le condizioni sanitarie non sa-rebbero sufficienti.
1992. Pechino decide di copiare la molecola e la immette nel mercato, vietandone però la vendita nelle farmacie. Ilpresidente del gruppo della Hoechst, Wolfgang Hilgerdichiara che la RU 486 è contraria alla sua etica e aquella della sua società. La polemica risveglia un pas-sato che la ditta tedesca vorrebbe dimenticare. (IGFarben, la conglomerata di cui Hoechst faceva parte,durante la seconda guerra mondiale ha prodotto lo Zyclon B, il gas utilizzato nei campi di sterminio). In Francia si evidenziano casi di attacchi cardiaci e siregistra la prima morte riconducibile al suo uso.
1993. In America il presidente Clinton, al terzo giorno dal suo insediamento, ordina una nuova valutazione deldivieto e cerca di convincere la Roussel-Uclaf, maquesta si rifiuta di fornirla.
1994. Roussel-Uclaf gira i suoi diritti negli Stati Uniti ad un’organizzazione antinatalista americana, la Popula- tion Council. Questa è un’organizzazione non-profitfondata nel 1952 dal finanziere John D. Rockfeller III eda Frederick Osborne (presidente della Società euge-netica), che si ispira a una visione maltusiana del pro-blema della sovrappopolazione.
1996. Il gruppo Roussel-Uclaf non esiste più e si parla ormai 1997. La Hoechst-Marion-Roussel annuncia la cessione senza contropartite dei diritti della molecola di mifepri-stone e dei suoi derivati per tutto il mondo -a ecce-zione degli Stati Uniti- a Edouard Sakiz, ex dirigentedella Roussel-Uclaf, allora in pensione. Nessuna dittafarmaceutica accetta il prodotto. Sakiz è un accanitosostenitore della RU 486. Dal giorno stesso in cui i diritti vengono trasferiti, la Roussel-Uclaf blocca la pro-duzione della RU 486. Un mese dopo Sakiz crea la sua società, Exelgyn, con un capitale personale di75 milioni di lire.
1999. La Exelgyn avvia le procedure per le autorizzazioni di immissione sul mercato europeo della pillola RU 486.
In Italia si autorizza l’uso solo limitato alla cura dellasindrome di Cushing. La Exelgin è cosciente della pe-ricolosità della pillola, tant’è che la ditta francese nonha mai voluto commercializzare la Ru 486 in America,nonostante le pressioni dell’allora Presidente Clinton,per timore delle eventuali denunce e dei danni da pa-gare. Dalle lettere di risposta inviate al Presidenteamericano dalla Exelgyn, si afferma chiaramente chel’azienda francese sarebbe entrata nel mercato USAsolo se l’amministrazione Clinton le avesse garantitouna sorta di immunità giudiziaria. Dopo sei anni dallacessione dei diritti la pillola abortiva negli Stati Uniti è commercializzata, con il nome di Mifeprex, dalla DancoLaboratories, appositamente istituita dal Population Co-uncil. Incalza la campagna di boicottaggio dei pro-life.
2000. La FDA, Food Drag Administration concede il ricono- scimento definitivo a settembre. Inizieranno le consegnedi mifepristone, con il nome di Mifeprex, agli uffici deimedici nel mese di novembre. 2004. A causa delle morti verificatesi nel mondo a seguito dell’assunzione della RU 486, la FDA aggiunge infor-mazioni sui “rischi di infezioni e perdite di sangue”.
2005. Il mifepristone è stato aggiunto alla lista dei farmaci dall’Organizzazione mondiale della sanità, che haanche definito delle linee guida.
1989. L’allora sottosegretario alla sanità, la socialista Elena Marinucci, ne caldeggia (senza successo) l’adozionenel nostro Paese.
2000. Gli esponenti radicali nel Consiglio Regionale del Pie- monte chiedono che non venga negato l’aborto chi-mico in Italia.
2002. Il Comitato Etico della Regione Piemonte approva il progetto di sperimentazione del mifepristone nell’o-spedale S. Anna di Torino, richiesto dal ginecologoSilvio Viale, noto esponente radicale, ma viene subitobloccato dall’allora ministro della Salute Girolamo Sir-chia.
2004, luglio. Arriva il benestare del Consiglio Superiore 2005. Il progetto prende il via all’Ospedale Sant’Anna di Torino. Nasce un intenso dibattito tra la giunta regio-nale e il ministero della Salute presieduto da FrancescoStorace, che invia un’ispezione considerando illegalel’inizio della sperimentazione senza l’autorizzazione delministero. In novembre riprende lo studio, a condi-zione che le donne rimangano ricoverate per un periodo minimo di tre giorni, e intanto si intrapren-dono sperimentazioni anche in Liguria, Toscana,Emilia-Romagna e dal 2006 in Puglia. Contempora-neamente a Milano e a Torino la magistratura avviadelle indagini ipotizzando una violazione della legge194. A Milano l’indagine viene archiviata, mentre aTorino viene sospeso lo studio nel settembre 2006. 2006, 13 e 14 ottobre. La Exelgyn sponsorizza un con- gresso della Fiapac (associazione internazionale deglioperatori di aborto e contraccezione), a Roma, cuipartecipa Emma Bonino: lo scopo è “dare supportoalle donne italiane, tra le poche in Europa a non avereancora l’accesso all’aborto farmacologico. Una viola-zione dei diritti umani intollerabile anche da un puntodi vista medico”.
2007. L’ente europeo per il controllo sui farmaci (EMEA) ap- prova l’uso del mifepristone e ne autorizza l’uso anchein caso di “preparazione” del collo dell’utero all’abortochirurgico. Nel novembre, la Exelgyn chiede all’Aifa(Agenzia italiana del farmaco) di registrare la RU 486per mutuo riconoscimento (processo che rende legit-timo l’uso di un “farmaco” già sperimentato e autoriz-zato in un altro Stato membro della Ue).
2008. Il 26 febbraio arriva il parere favorevole del Comitato tecnico scientifico dell’Aifa per la commercializzazione.
Il 18 giugno la Commissione prezzi dell’Aifa stabilisceil costo per le confezioni da una da tre compresse. 2009, 30 luglio. Il Consiglio di amministrazione dell’Aifa dà il via libera definitivo alla commercializzazione dellapillola abortiva. Nel frattempo il Senato proponeun’indagine conoscitiva.
2009, settembre. Parte l’indagine conoscitiva sulla pillola abortiva, promossa dalla Commissione Sanità al Se-nato.
2009, 9 novembre. Il Presidente della Cei, Cardinal Angelo Bagnasco, nella prolusione letta in occasione dell’a-pertura dei lavori dell’Assemblea Generale dei vescoviitaliani, richiama il fatto che “non si potrà non ricono-scere, come già fa la legge 194, la possibilità dell’obie-zione di coscienza agli operatori sanitari, compresi ifarmacisti e i farmacisti ospedalieri, che non inten-dono collaborare direttamente o indirettamente ad unatto grave’’.
2009, entro novembre. Doveva essere pubblicata in Gaz- zetta Ufficiale la delibera che avrebbe permesso l’im-missione in commercio della RU 486, non appena laditta produttrice avesse introdotto una aggiunta al fo-glio illustrativo, specificando le condizioni relative allalegge 194, il limite di utilizzo delle sette settimane,l’obbligo ad una somministrazione ospedaliera e l’ob-bligo dell’intero percorso abortivo all’interno di unastruttura sanitaria.
2009, 26 novembre. Con 14 voti a favore (Pdl e Lega) e 8 contrari (Pd), la Commissione Sanità del Senato ap- prova la relazione che conclude l’indagine sulla RU486. Nel testo si chiede al governo di chiarire la com-patibilità con la L.194 e, comunque, in attesa del pa-rere dell’esecutivo, viene sospeso il via libera concessonel luglio scorso all’Aifa: dovrebbe servire, infatti, unanuova delibera, dopo il pronunciamento del governo.
(Ci sarebbe stato un vizio di procedura: l’Aifa, infatti,avrebbe dovuto chiedere al governo la compatibilitàcon la L.194 prima di approvarne la commercializza-zione). A questo punto ci si aspettava dall’Aifa unanuova delibera, dopo il pronunciamento del governo.
2009, 3 dicembre. L’Aifa comunica che non procederà a nessuna modifica della delibera varata il 30 luglio,respingendo la richiesta del governo di chiarimenti e specificazioni sulla procedura di assunzione della RU 486. La delibera viene pubblicata sulla GazzettaUfficiale, dando il via alla commercializzazione e tuttala gestione viene affidata alle Regioni.
Innanzitutto cos’è la RU 486? La sigla deriva dall’etichetta- zione della molecola 38486 (sintetizzata dal chimico GeorgeTeutsch, direttore di ricerca della Roussel Uclaf) unito al nomedella ditta francese produttrice, la stessa Roussel Uclaf.
Vanno subito chiariti gli aspetti terminologici: non è un farmaco, visto che, nella lingua italiana e nella terminologiamedico-scientifica, “un farmaco può essere utilizzato o som-ministrato allo scopo di ripristinare, correggere, modificarefunzioni fisiologiche”, insomma, anche nel sentire comune, un farmaco, normalmente, si assume per curare patologie: ogget-tivamente non è il caso della RU 486. Inoltre la gravidanzanon è una malattia e il figlio non è un virus. Dobbiamodunque chiamarla col suo nome: una sostanza chimica che hacome scopo, dichiarato e diretto, la soppressione di un essereumano. La sua somministrazione, di norma a due mesi circadi gravidanza (entro il 49esimo giorno), provoca infatti unaborto. Tecnicamente è un contragestativo, cioè esplica la suaazione abortiva quando l’embrione è già annidato in utero.
Non va confusa, dunque, con la pillola del giorno dopo (che,come sappiamo, è da anni in vendita nelle farmacie) che è unintercettivo, cioè intercetta l’embrione per distruggerlo nel suopercorso lungo la tuba verso l’utero. È evidente, comunque,che entrambi, RU 486 e pillola del giorno dopo, sono stru-menti di morte e per quel bambino l’effetto è identico: nonpotrà mai nascere! La modalità di azione della RU 486 è perversa perché studia la logica della vita per trasformarla in logica di morte.
Sappiamo che sin dal concepimento esiste un dialogo, di na-tura biochimica e ormonale, tra madre e figlio; è grazie a queldialogo che, appena concepiti, pur avendo un DNA diverso,non siamo stati aggrediti e distrutti dal sistema immunitariomaterno; è ancora grazie a quel dialogo che al momento del-l’annidamento in utero siamo stati guidati verso il sito piùadatto ed accogliente. Questo dialogo è fitto e costante du-rante tutta la gravidanza. In particolare, nelle prime settimane,anziché atrofizzarsi, il corpo luteo (che si forma nell’ovaio inseguito alla rottura del follicolo che ha liberato l’ovulo) si con-serva e si ingrandisce grazie ad un ormone, la gonadotropinacorionica umana (HCG), secreto dalla placenta del bambino.
Il corpo luteo, in risposta, produce il progesterone, ormoneche sostiene e protegge la gravidanza. Tale ormone, però, perattivarsi e svolgere la sua funzione, ha bisogno di fissarsi a dei recettori materni situati nella parete dell’utero materno.
Per comprenderne meglio il meccanismo possiamo imma- ginare le molecole del progesterone come delle chiavi che,per funzionare, devono introdursi in altrettante serrature, rap-presentate dai recettori materni. La RU 486 “simula” di essereil progesterone, con la differenza che è molto più veloce edaffine ai recettori materni, cosicché, quando il progesteronedel bambino raggiunge le serrature, le trova già tutte occupatedalle “finte” chiavi della RU 486. La conseguenza è il crollodel livello del progesterone, tale da provocare l’aborto.
La RU 486, il cosiddetto “aborto chimico”, non è meno traumatica, e nemmeno senza rischi rispetto all’aborto chirur-gico. Per comprendere meglio dov’è l’ennesimo inganno dichi diffonde queste affermazioni è necessario un approfondi-mento.
Sia la più autorevole rivista medica NEJM, New England Journal of Medicine, che il New York Times, hanno pubblicatonumerosi articoli ed inchieste relativamente ai pesanti effetticollaterali della pillola abortiva: le morti da aborto chimicosono 1 su 100.000, rispetto a quelle per aborto chirurgico regi-strate nello stesso periodo della gravidanza: 0,1 su 100.000.
Una mortalità dieci volte maggiore, quindi, nel caso della pillola abortiva.
Ventinove donne nel mondo sono morte a seguito di somministrazione della RU 486, forse per i suoi soste-nitori non sono ancora abbastanza. Il dato è contenuto nellarelazione che l’azienda produttrice della pillola, la Exelgyn, ha inviato al ministero della Salute, il quale a sua volta lo ha gi-rato al comitato tecnico-scientifico dell’Aifa. Quest’ultimo,come sappiamo, si è espresso favorevolmente sulla commer-cializzazione della Ru 486… Le morti sono causate dall’infezione da Clostridium sor- delli, un batterio che agisce senza dare particolari sintomi pre-monitori.
Dai suoi fautori l’aborto tramite RU 486 viene definito meno traumatico dell’aborto chirurgico (qualcuno lo definisceaborto dolce ….!!!! Una triste consonanza con la dolcemorte…) ma non è affatto così. Infatti, a parte i già menzio-nati rischi per la salute fisica e la vita stessa della donna, sulpiano psichico si è rivelata devastante.
La modalità di azione è la seguente: la donna assume in ospedale una pillola di mifepristone (la RU 486) che, bloc-cando il progesterone, uccide l’embrione in grembo. Poi va a casa (sarà infatti facilitata, nella prassi, la firma delle sue dimissioni) e dopo quarantotto ore assume la seconda pillola,il misoprostol (Cytotec, farmaco normalmente utilizzato perpatologie gastriche), che provoca contrazioni molto dolorose(servono gli antidolorifici) tese ad espellere, attraverso abbon-danti emorragie, l’embrione morto.
Parliamoci chiaro: chi afferma che tutto ciò non è trauma- tico, o non sa di cosa sta parlando o è ideologicamente acce-cato.
Nell’aborto chirurgico la donna delega, appunto al chi- rurgo, l’intervento sul suo bambino, spesso è in anestesia to-tale; ben diverso dall’essere lei stessa protagonista della mortedel proprio figlio, ingoiando due pillole che sa essere mortaliper il suo bambino, (ma spesso non sa essere dolorosissime epericolose per se stessa): è proprio lei che ne procura diretta-mente la distruzione e la sperimenta sulla propria pelle. Vivel’aborto in diretta, sapendo di averlo procurato con le sue stesse mani. Semplici conoscenze di psicologia elementareevidenziano che questo, dal punto di vista di “elaborazionedel lutto”, rappresenta un trauma terrificante.
Non c’è dubbio che l’uso della RU 486 presenta diversi punti di incompatibilità con la legge 194/78, che ha legaliz-zato l’aborto in Italia. Nell’analizzarne i numerosi termini di conflitto, non possiamo però mai dimenticare l’oggettiva,profonda iniquità di tale legge, poiché è sottile, ma reale, il rischio che, evidenziando gli aspetti violativi della norma nel-l’uso della pillola abortiva, surrettiziamente avalliamo la bontàdella legge, che, invece, non possiamo mai smettere di con-trastare.
• La legge 194 prevede che l’intero iter abortivo si svolga in ospedale, la RU 486 va esattamente nella direzione op-posta: è stata infatti pensata per abortire a casa, senza il rico-vero ospedaliero. Nel 2004 in Francia è stato autorizzato l’usoprivato della pillola abortiva, acquistabile in farmacia, senzadunque obbligo di ricovero ospedaliero. Primo passo verso ildestino per cui la pillola è stata voluta.
• Chi ha voluto la 194 affermava che la finalità (rivelatasi poi assolutamente fallita) era sottrarre l’aborto alla clandesti-nità, renderlo un problema sociale, addirittura a carico delServizio Sanitario Nazionale. Non ancora soddisfatti dellemenzogne propinate durante la campagna referendaria sullafecondazione artificiale, i fautori dell’aborto “fai-da-te” conti-nuando a mentire, affermando che la RU 486 è per la donnameno traumatica dell’aborto chirurgico, hanno aperto di fatto la strada ad una nuova clandestinità: la donna abortirà nellaclandestinità più atroce: nel bagno di casa. Da sola.
• Le affermazioni dell’Aifa non riescono a rassicurare ri- guardo al fatto che l’intero iter abortivo sarà ospedaliero, inquanto non è previsto regime di ricovero ordinario ed è moltoverosimile che, nella prassi, ineluttabilmente, le esigenze eco-nomiche delle strutture sanitarie condizioneranno non poco leprocedure: alla donna, dopo l’assunzione della prima pillola,verrà proposto di firmare un foglio di dimissioni e andarsenea casa, senza ricorrere ad un ricovero in ospedale, che po-trebbe durare dai tre ai quindici giorni. Contraddicendo intoto la legge 194.
• Nella sua profonda ipocrisia, comunque, la 194 specifica che la donna prima di abortire si sottoporrà ad un colloquio“teso a rimuovere le cause che la inducono al ricorso all’a-borto” e che verrà invitata a ripensarci per una settimana.
Ovvio che questo pur flebile tentativo non è contemplato conla RU 486.
La richiesta di “ricovero ordinario” del Ministro del Welfare, Sacconi, all’Aifa, a conclusione dell’indagine conoscitiva av-viata dalla Commissione Sanità del Senato, ha ricevuto unapilatesca risposta; l’Aifa, infatti, facendosi scudo delle suecompetenze “limitate al regime di fornitura/modalità di dis-pensazione del farmaco” rimanda “alle autorità competentil’emanazione dei provvedimenti applicativi o specificativi” pergarantire “il pieno rispetto della legge 194 nonché l’osser-vanza sul territorio delle modalità”.
Di fatto si rimandano alle Regioni “le disposizioni per il corretto percorso di utilizzo clinico del farmaco”. Sorge spontanea una domanda: ma non dovrebbe essere proprio l’Aifa, organismo pubblico, ad esercitare, tramite mo-nitoraggi continui, attività di farmaco-vigilanza? E comepensa di svolgere questo compito, visto che lo scarica alle Re-gioni? La realtà è che la RU 486 rivela sempre più una pratica non solo di “aborto fai-da-te”, chiunque, comunque e do-vunque, ma anche di “Regione fai-da-te”, con le conseguenzeche tutti possiamo immaginare, tant’è che già l’Emilia Ro-magna ha varato un protocollo che prevede l’aborto chimicoin regime di day hospital.
Ripercorrendo l’inarrestabile cammino della RU 486 nel mondo e in Italia sono, penso, evidenti, oltre che gli aspettiideologici, le logiche di lucro sottostanti. Sulla pelle dei piùdeboli: il bambino e la donna, la quale, tra l’altro, è costrettaa firmare un foglio di consenso informato per cui, qualora l’aborto chimico non riuscisse (accade nell’8% dei casi perl’assunzione della pillola entro i primi 49 giorni e sale fino al23% nei successivi 14 giorni) è costretta a sottoporsi obbliga-toriamente all’aborto chirurgico. In pratica, per evitare rischidi denunce per nascite di bambini malformati, non le è con-sentito cambiare idea.
E ancora, nessuno dei suoi fautori sembra ricordare che negli anni ottanta si svolse un congresso internazionale deimovimenti femministi per la salute della donna, nel quale fu elaborato un documento in cui si condannava l’utilizzo di so-stanze chimiche a scopo abortivo. In nome della tutela dellasalute della donna.
Probabilmente questo cammino di morte non potrà essere materialmente arrestato, ma credo che molto potremo fare at-traverso la diffusione di informazioni chiare e corrette, di as-soluto rigore scientifico, attraverso la formazione e la sensibi-lizzazione dell’opinione pubblica, risvegliando le coscienze ditutte le persone intellettualmente oneste.
Ogni anno nel mondo si effettuano 53 milioni di aborti: ov- vero ogni anno abbiamo annualmente un numero di vittimepari a quelle provocate dall’intera Seconda guerra mondiale.
In Europa sono annualmente circa 1 milione e duecentomilale vittime di aborto, In Italia circa 150.000 l’anno (da quandoè stata approvata la legge 194, cinque milioni: pari a circal’intera popolazione residente nel Lazio), nel Lazio ogni annosono circa 16.000, di cui 15.000 a Roma. Non è un elenco dicifre: dietro ogni numero c’è un bambino, una bambina cui èstato impedito di nascere, una donna che porterà per sempreuna tristezza nel cuore, una società che ha smarrito lo spiritodi umanità e il senso della solidarietà verso i suoi figli più de-boli e più fragili… Non avrebbe più senso, non sarebbe più umano tentare di fermare questa strage? Con politiche di effettiva tutela socialedella maternità, di sostegno alla famiglia, di vere pari oppor-tunità a nascere e a vivere, anziché, deresponsabilizzandosi,gettare tutto il peso sulla donna e, ancor peggio, di fronte allasua richiesta di aiuto, mandarla a casa con una pillola assas-sina in tasca, lasciandola ancora più drammaticamente sola? Penso dovremmo spostare il dibattito da “aborto chirurgico o chimico?” a “come fermare il dramma dell’aborto?” È evidente, infatti, che il problema, oltre che nascondere ri- svolti ideologici ed economici, investe profondamente gli aspetti culturali, educativi e, fondamentalmente, la questioneantropologica. Perché è chiaro che tutte le azioni umane, inambito giuridico, economico, sociale, culturale e politico sca-turiscono da una precisa visione antropologica, da una pre-cisa domanda: chi è l’uomo? Il valore della sua vita, la sua in-commensurabile dignità, possono essere assoggettati ad opi-nioni mutabili nel tempo, a logiche utilitariste, a temporaneemaggioranze politiche o rappresentano realmente principinon negoziabili, per tutti, perché profondamente umani escaturiti dal diritto naturale? Anche questa è emergenza educativa.
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Vive a Roma, è sposata e madre di tre figli.
Laureata in Scienze Biologiche all’Università “La Sapienza”
di Roma.
Specializzata in Bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Roma.
Docente di Bioetica all’Istituto di Studi Superiori sulla Donna,
Università Europea di Roma.
Tra i fondatori del Movimento per la vita italiano, di cui è
stata Segretaria Generale, dal ’97 al 2006, in trent’anni di appas-
sionato impegno, si è prodigata per la diffusione del Movimento
che ad oggi conta decine di migliaia di volontari ed è costituito da oltre 600 centri sparsi sul territorio
nazionale, (tra movimenti locali, centri di aiuto alla vita e 80 case di accoglienza).
Dal 2005 è VicePresidente nazionale della Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispi-
razione Cristiana
(oltre 200 centri sparsi sul territorio nazionale).
Presidente nazionale del Comitato per la Famiglia, sorto in occasione della preparazione del Family
Day e promotore di un Manifesto per la Famiglia sottoscritto da 250mila cittadini italiani e oltre 50
parlamentari.
Presidente del Comitato “Donne e vita” che ha avuto un ruolo importante nella motivazione all’a-
stensione alla campagna referendaria per la legge sulla fecondazione artificiale.
Presidente della W.W.A.L.F., World Women’s Alliance for Life & Family, che, ad oggi,  è rappresen-
tata in tutti i continenti, in oltre 50 Paesi nel mondo, da donne impegnate nella difesa dei diritti umani
e nella promozione della famiglia.
Direttore del Ce.F.E.S., Centro di Formazione ed Educazione delle Sessualità, sorto a Roma nel ’94,
le cui finalità sono diffondere e promuovere il valore della sessualità profondamente radicato nell’an-
tropologia personalista.
Socio fondatore dell’Associazione Nazionale Scienza & Vita.
Vicepresidente del Movimento per la vita romano.
Dal ’95 al 2000 docente di Bioetica, presso la scuola di noviziato dell’USMI (Unione Superiori Mag-
giori d’Italia: migliaia di novizie di tutte le congregazioni e i Paesi del mondo).
Relatrice in innumerevoli conferenze in Italia e all’estero sui temi della bioetica, dei diritti umani,
delle politiche familiari, della tutela della vita, della solidarietà.
Membro del Comitato Scientifico del Progetto Nazionale di Ricerca sull’adolescenza promosso
dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Membro del comitato internazionale di esperti sull’educazione all’affettività degli adolescenti
promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia.
Membro dell’International Conference “Women, development and peace” promossa dal Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace.
Relatrice per l’Italia e coordinatore di sessione sulle “tendenze culturali contemporanee e il nuovo
femminismo” al Simposio Internazionale sulla donna promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici (7-
9 novembre 2008).
Promotrice della Prima Conferenza Internazionale “Donne e diritti umani” in Vaticano, 20-21 mar-
zo 2009.
Invitata dalla Conferenza Episcopale Portoghese e dalla Conferenza Episcopale Croata ha tenuto
corsi di formazione per medici e infermieri sulle biotecnologie e i rischi delle manipolazioni genetiche.
Ideatrice e prima firmataria del Manifesto del Nuovo Femminismo
Consigliere Regionale del Lazio dal 2000 al 2005, ha presieduto la Commissione per le Politiche Fa-
miliari e Pari Opportunità, ha istituito e presieduto l’Osservatorio Regionale Permanente sulle Famiglie.
Coltiva da sempre una passione per la musica e ha inciso numerosi album, in qualità di cantautrice,
sul tema della vita e della famiglia, con le Edizioni Paoline.
www.olimpiatarzia.it - o.tarzia@telemar.it

Source: http://www.olimpiatarzia.it/wp-content/uploads/2011/12/RU486-2010.pdf

Thomson

Langerhans cell histiocytosis: update for the pediatricianSheila Wand R. Maarten aDivision of Pediatric Hematology/Oncology,The Hospital for Sick Children, Toronto and UniversityLangerhans cell histiocytosis is the commonest of the histiocytic disorders. Owing toof Toronto, Toronto, Canada and bImmunology,Hematology/Oncology and Bone Marrow Transplant,the relative rarity of the condition, it

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General terms and conditions Terms of Business and Conditions of use of Bayreuther Festspiele GmbH for the performances at Richard-Wagner-Festspiele 2014 1. Area of validity 1.1. These general terms and conditions regulate the legal relationships between Bayreuther Festspiele GmbH (hereafter: BF) and the ticket buyers and visitors to the performances at Richard-Wagner-Festspiele 2014

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