Il breve trattato di Antoine Le Maistre sulle locuzioni figura-
te e le figure retoriche, databile al 1655 circa, è rimasto ineditofino ad oggi ed è compreso nel ms. N.A.F. 1359 della Biblio-thèque Nationale di Parigi. Le pagine contenenti questo trattatofanno seguito ad un altro testo di Antoine Le Maistre, le Reglesde la Traduction, da me pubblicato nel 1991 per le edizioni Bi-bliopolis di Napoli, anch’esso fino a quella data inedito. Tra leRegles e il Traitté sui tropi il ms. presenta quattro paginebianche (da 7r.v. a 10r.v.). Il Traitté va da 11r. a 13v. (foglietti di27cm. x 20cm.) e, dopo altre pagine bianche (14r.-16v.), ripren-de con 17 r.v. (21,5 x 16) e prosegue con 18 r.v. (21,5 x 16,3), 19r.v. (21,5 x 16,5) e 20 r.v. (21,3 x 16,4). Trattasi di un autograforicco di correzioni e aggiunte nell’interlinea e al margine, di nonfacile decifrazione e farcito di citazioni latine in gran parte trattedall’Institutio oratoria di Quintiliano. Queste citazioni sono sta-te tutte identificate con l’aiuto generoso e sapiente del collega eamico Scevola Mariotti e di sua figlia Flavia, che qui ringrazio.
L’edizione delle Regles de la Traduction di Le Maistre, ac-
compagnate dalle Regles di altri Solitaires (Robert Arnauldd’Andilly, Louis-Isaac Le Maistre de Sacy)1 è venuta a colmare
* Comunicazione e testo di A. Le Maistre sono stati pubblicati in Port-Royal e la retorica, Bibliopolis, Napoli 1995.
1. Regole della traduzione. Testi inediti di Port-Royal e del «Cercle» di
Miramion, a cura di Luigi de Nardis, Bibliopolis, Napoli, 1991.
una lacuna vistosa nella valutazione dell’opera di quei formida-bili traduttori che furono gli eruditi giansenisti. E così questotrattato sulle figure retoriche viene a colmare un vuoto inspie-gabile nella riflessione dei Solitaires sulla lingua francese: i po-chi cenni alla retorica infatti, sono reperibili nella Grammairegénérale et raisonnée, 1660, di Arnauld e Lancelot, come purene La Logique ou l’Art de Penser, 1662, di Arnauld e Nicole. Inun recente articolo Françoise Douay segnala «les MM. de Port-Royal ne nous ont pas donné de Rhétorique en français»2; e af-ferma che bisognerà attendere L’Art de Parler, 1675, del PèreBernard Lamy, oratoriano, per avere un primo trattato, impre-gnato di spiriti port-royalisti, ancor più tendenti al cartesianesi-mo, da ricollegare alla riflessione dei giansenisti sulla retorica.
Ma il trattato del Père Lamy, uscito anonimo a Parigi presso
l’editore A. Pralard (e più volte poi ristampato e tradotto anchein inglese) appartiene già a una fase più tarda delle idee dei Soli-taires sulla retorica: esso, infatti, è caratterizzato da aperturesull’invenzione e sul linguaggio delle passioni che sviluppanoquanto era già patrimonio di Port-Royal negli anni in cui Antoi-ne Le Maistre scriveva il suo trattato (intorno al 1655?). Lamyriprende la distinzione di tropes e figures; sviluppa il paralleloche Le Maistre aveva istituito tra arte della parola e arte dellapittura3; approfondisce l’ultima parte del Traitté di Le Maistre
2. F. Douay, Traduction, transcription, transposition, dans la trasmissiondu savoir des figures, en Europe au XVIIe siècle, «Littératures Classiques», Latraduction au XVIIe siècle, 13, oct. 1990, pp. 53-74.
3. «Les Peintres ne couchent pas leurs couleurs, avant qu’ils ayent for-
mé dans leur imagination l’image de ce qu’ils veulent representer. Le dis-cours est une peinture de nos pensées. La langue est le pinceau qui trace cet-te peinture, et les mots sont les couleurs» (Livre I, chap. I). «Comme l’on nepeut pas achever un Tableau avec une seule couleur, et distinguer les diffe-rens traits des choses qu’on y doit representer: il est impossible de marquerce qui se passe dans notre esprit, avec des mots qui soient tous d’un mesmeordre» (Livre I, chap. III).
con un esplicito richiamo al linguaggio delle passioni4, ma adesso premettendo un’interessante analisi della loro espressionetotale che si avvale, oltre che della parola, anche dello sguardo,della mimica facciale, del colore dell’incarnato. È la ricerca del-le motivazioni profonde dell’espressione, e non un tentativo ari-do di classificazione; è l’attenzione alla «voce», a come insorgel’espressione verbale; è l’intelligente riflessione sulla diversitàdegli stili: «la diversité des inclinations diversifie les stiles. Chaque climat, chaque siecle a son stile» (Livre IV, chap. I). Naturalmente il riferirsi a Quintiliano è costante.
Questo testo di Lamy opera un miracolo impensabile ai tem-
pi di Antoine Le Maistre: quello di entrare nei collèges oratoria-ni come logico complemento della Grammaire générale et rai-sonnée e della Logique. Ma ai tempi di Le Maistre che peso ave-va nelle Petites Ecoles lo studio della retorica? Le pagine chequi si danno in prima edizione sono state trovate tra le carte diRacine, allievo di Antoine Le Maistre; e Marc Fumaroli mi assi-cura che Basil Munteano ha raccolto tutte le annotazioni ineditedello stesso Racine sulla retorica, probabilmente vergatesull’esemplare dell’Institutio oratoria presente nella sua biblio-teca. L’interesse di Racine per l’arte della parola risale certa-
4. «Outre les expression propres, et étrangeres que l’usage de l’art four-
nissent [sic] pour être les signes des mouvemens de nôtre volonté, aussi bienque de nos pensées, les passions ont des caracteres particuliers avec lequel[sic] elles se peignent elles-mêmes dans le discours. Comme on lit sur le visaged’un homme ce qui se passe en son coeur, que le feu de ses yeux, les rides deson front, le changement de couleur de son visage sont les marques évidentesdes mouvemens extraordinaires de son ame, les tours particuliers de son dis-cours, les manieres de s’exprimer éloignées de celle que l’on garde dans latranquillité, sont les signes et les caracteres des agitations, dont son esprit estémeu dans le tems qu’il parle» (Livre II, chap. III). «Il n’y pas de meilleurlivre que son propre coeur, et c’est une folie de vouloir aller chercher dans lesécrits des autres ce que l’on trouve chez soi. Si l’on désire sçavoir les figuresde la colere, qu’on s’etudie, quand on parle dans le mouvement de cette pas-sion» (Livre II, chap. III).
mente all’insegnamento di Antoine Le Maistre, a questo brevetrattato che probabilmente rappresenta lo scheletro di una seriedi lezioni, come lo era anche l’altro trattato, quello sulle Reglesde la Traduction. L’attenzione alla retorica fa parte di quel pro-gramma di insegnamento del latino e del greco che i Solitairesconcepiscono come affidabile solo alla lingua francese: grandeinnovazione nel XVII secolo rispetto alla tradizione cinquecen-tesca e ugonotta di Pierre de la Ramée e Omer Talon, innova-zione accompagnata da una costante applicazione dei Solitairesnella traduzione in francese di opere latine e greche.
C’è un rovesciamento di metodo, presso i giansenisti, nell’in-
segnamento del latino e del greco: constatato che con i metoditradizionali i giovani apprendevano le lingue classiche attraver-so una vano esercizio mnemonico, e quindi come forma priva divita, e si trovavano sui quindici anni ad essere del tutto ignoran-ti nella propria lingua, il francese, i maestri di Port-Royal punta-no sulla più piena appropriazione del francese (ormai ritenutopassibile di ogni espressività) per giungere al possesso del latinoe del greco attraverso la lingua nazionale. E per raggiungerequesto fine si moltiplicano le edizioni di opere latine e greche intraduzione francese con testo a fronte, segno distintivo dellaproduzione dei Solitaires, versioni a carattere «itinerario» (co-me poi le definirà Foscolo), il cui fine pedagogico giungerà, co-me per il Poëme de Saint-Prosper contre les Ingrats tradotto daLouis-Isaac Le Maistre de Sacy, alla doppia versione in metro ein prosa.
Nel Traitté di Antoine Le Maistre assistiamo ad un’altra im-
portante innovazione rispetto alla tradizione degli studi di reto-rica cinquecenteschi e seicenteschi: gli esempi sono tratti dagliautori latini, utilizzando la ricca esemplificazione di Quintilia-no, ma anche formulati spesso in francese: a tal punto i Soli-taires consideravano di pari dignità il latino e il francese. Cosic-ché, nella sostanziale fedeltà all’Institutio oratoria, e nell’impos-tazione e nell’articolazione, Antoine Le Maistre opera nel senso
di un’attualizzazione dei problemi della retorica.
Dietro questo processo di attualizzazione, che conserva la
distinzione canonica fra figurae sententiarum e figuraeverborum, c’è il senso concreto della lingua e del genio che lamuove: «l’esprit qui anime le discours»; c’è la consapevolezzadell’«effetto» che il discours è destinato a produrre sul lettore osull’ascoltatore; c’è un ideale linguistico che, attraverso unastraordinaria applicazione della «gradation», può essere cosìformulato con Le Maistre: «s’exprimer avec clarté, avec beauté,avec grace, avec adresse, avec force, avec ornement», gradazio-ne in ordine discendente, o inverso, come dettano i manuali diretorica. L’ornement, dunque, è l’ultima delle preoccupazionidel nostro trattatista: quello che è in cima ai suoi pensieri è ilcorps della lingua, non il suo habillement:
Si on neglige la noblesse des pensées, la force du raisonnement et la
vigueur du stile et des pointes pour s’amuser à remplir un discours defigures d’elocution, d’antitheses et de jeux dans les mots, on neglige lecorps et on s’amuse à l’habillement.
Il richiamo vale a indirizzare verso un uso moderato delle fi-
La regle de ces figures d’elocution est de s’en servir à propos et
avec discretion estant belles lors qu’elles sont bien menagées et biendistribuées, et estant ridicules lors qu’elles sont trop recherchées ettrop affectées. [.] Lors mesme que ces figures sont faites selon lesregles il ne les faut pas trop multiplier parce que le visage de l’oraisonne doit pas estre tellement embelly par l’art que sa beauté ne paraissetousjours plus naturelle qu’artificielle.
Più che alla bellezza formale, più che all’applicazione siste-
matica dei corretti principî della retorica, Antoine Le Maistreelegge a regola assoluta il «discernement de ce qui est dans labienseance», a seconda del luogo, del destinatario e del mo-mento in cui le figure sono adottate: per lui conta soprattutto il
senso ultimo del messaggio da far passare, l’obiettivo della co-municazione. Per questo egli giunge ad affermare che, quandoparlano le passioni vive e naturali, bisogna mettere da parteogni preoccupazione formale:
C’est pourquoy on s’en doit passer lors qu’on veut exprimer des
passions vives et naturelles comme lors qu’on fait parler une personneen colere, ou une qui pleure, ou une qui demande et qui suplie, parceque le choix des mots et l’affectation des figures ne compatit pointavec des passions et des mouvemens du coeur et que l’ostentation del’art fait douter de la verité.
Il troppo artificio è, dunque, ostacolo all’espressione della
verità. E la mancanza del senso della misura, della discretion,dell’opportunità nell’uso delle figure può trasformare risorseformali volte ad abbellire e rendere efficace il discorso in formeridicules che ci allontanano da quell’apte dicere che era giàl’ideale dell’oratoria ciceroniana. Le figure, così «bien mena-gées et bien distribuées», formano «une conduitte ingenieuse etartificielle dans le sens et dans les choses que nous voulons direet nous enseignent à les proposer d’une certaine maniere plusnoble et plus belle et plus vive que l’on ne fait sans cet art».
Ma Antoine Le Maistre va ben oltre quando richiama un
principio di organizzazione strutturale del discorso, quel-l’«esprit qui anime le discours», il genio stesso della lingua, che«tient le mesme rang dans l’eloquence que la disposition, le des-sein et les postures dans la Peinture, ce que les Peintres appel-lent l’ordonnance», e che sono l’elemento nutritizio delle figu-rae sententiarum, cioè le «figures d’invention» e «de pensée». Mentre «les autres figures qui regardent seulement l’elocutionet le stile sont comme les lumieres et les ornemens du discourset ressemblent au colory». L’ut pictura poesis non ha miglioreesemplificazione che questa animata trasposizione dell’arte del-la parola in quella della pittura, come ben hanno mostrato glistudi recenti di Jacques Thuillier e Marc Fumaroli: l’arte del
Seicento francese, infatti, è stata intelligentemente indagata daquesti due studiosi come portatrice di valori retorici, al pari deitesti di questo straordinario secolo.
Il breve trattato di Antoine Le Maistre, pur inscritto nello
sforzo della cultura giansenista a razionalizzare i fenomeni lin-guistici, e a modellare un ideale di eleganza mai disgiunta dauna preoccupazione di verità, offre una testimonianza di quellavocazione pedagogica che fa dei testi di Port-Royal documentivivi e vibranti.
La pluspart des Rhetoriciens ont confondu les figures de lo-
cution avec les Tropes qui sont des Locutions figurées. EtQuintilien avoüe qu’il est aisé de les prendre l’un pour l’autre. Neanmoins il les distingue et dit que la Figure est une structureet une composition de periode qui se fait d’une maniere plusnoble que la commune et populaire. Et que le Trope ou la Lo-cution figurée est une expression que l’on transfere de sapropre et naturelle signification à une autre pour rendre l’orai-son plus noble et plus ornée. Est sermo a naturali et principali si-gnificatione translatus ad aliam ornandae orationis gratia1. Ainsydans ces Tropes ou locutions figurées on met des mots les unspour les autres par des translations artificielles au lieu que les fi-gures se peuvent faire des mots qui sont propres et naturels etplacez en leur ordre et en leur rang. En quoy paroist une diffe-rence entre l’un et l’autre quoy qu’ils se rencontrent souvent en-semble.
Quintilien2 dit que c’est la plus ordinaire et la plus belle de
toutes les locutions figurées: qu’elle est venue de la nature, lesignorans en usant souvent, et estant si agreable et si eclatantequ’elle reluit par sa propre lumiere quelque noble que soit
1. Inst. or., 9, 1,4. 2. Inst. or., 8, 6, 4-18.
l’oraison. Car pourveu qu’elle soit employée avec sagesse, elle nepeut estre ny commune, ny basse, ny desagreable. Elle augmenteaussy et enrichit l’abondance du discours en changeant un motpour un autre ou en empruntant ceux qu’elle n’a pas. Et ce quiest tres difficille qu’on ne manque point de noms pour exprimerchaque chose. Ainsy on transfere un verbe ou un nom du lieu oùil est propre en un autre lieu où en manque un propre, ou bienoù le figuré vaut mieux que le propre. Ce qui se fait ou pour lanecessité, ou pour la force de la clarté du sens et de l’expression,ou pour la bienseance. Car lors qu’une locution figurée n’estpoint employée pour une de ces raisons, elle est impropre. Ons’en sert par necessité comme lors que les parlans disent que lesbleds ont soif, que la levre est alterée et lors que nous appellonsun homme dur un naturel de fer. On s’en sert pour fortifier lesens comme lors qu’on dit enflammer de colere, une passion bru-lante, tomber paresseux. On s’en sert pour la bienséance et pourl’ornement comme lors qu’on dit les lumieres du discours, lasplendeur de la naissance, les tempestes des assemblées, lesfoudres de l’eloquence. On s’en sert aussy pour expliquer plushonestement des choses basses et peu belles à exprimer.
La Metaphore est plus courte que la Comparaison et il y a
cette difference que dans la comparaison on marque la ressem-blance d’une chose à une/autre. Et que dans la Metaphore on
met la comparaison mesme au lieu de la chose. C’est une com-paraison lors qu’on dit qu’un homme agit comme un Lion, etc’est une metaphore lors qu’on dit d’un homme c’est un Lion.
On se sert de la Metaphore lors que dans les choses animées
on met l’une pour l’autre comme Tite Live dit que Catonaboyoit d’ordinaire apres Scipion. Mais il se forme une admira-bile sublimité du discours lors qu’on attribue une espece d’ac-tion et de passion d’une chose animée et vivante à une qui estinanimée comme Virgile: Pontem indignatus Araxes3. Et Cice-
ron: Quid tuus ille Tubero districtus in acie Pharsalica gladiusagebat? Cujus latus ille mucro petebat?4 Virgile rend cette beau-té double lors qu’il dit: ferrumque armare veneno5. Car armer devenin et armer du fer est une locution figurée.
L’usage discret et moderé de la Metaphore embellit le dis-
cours. Mais lors qu’il est trop frequent il le rend obscur et en-nuyeux. Et lors qu’il est continuel il degenere en Allegorie et enEnigme.
Il y a des Metaphores basses. Il y en a de sales et de deshonnestes comme: la Republique aesté chastrée par la mort de Scipion l’Africain. Glaucias estoitl’excrement du Senat. Il y en a de dures et recherchées de troploin comme les neiges de la teste pour exprimer la vieillesse.
La Metaphore ou doit occuper une place vacante ou si elle
prend la place d’un mot elle doit valoir mieux et causer plusd’ornement que le mot qu’elle chasse de son propre lieu.
Nombre pour nombre;Partie pour tout;le genre pour l’espece.
Elle sert à marquer plusieurs personnes par un nombre sin-
gulier comme: le Romain vainqueur pour les Romains; et aucontraire quand on marque une seule personne par un nombrepluriel comme Ciceron escrit à Brute: Nous avons imposé aupeuple et nous avons passé pour Orateurs, ou le tout [pour]6 lapartie comme en disant le toit pour exprimer la Maison dont letoit n'est qu’une partie: et les Poetes la Pouppe pour le Vaisseau;ou l’espece pour le genre comme lors qu’on dit le fer qui est legenre pour l’espée qui est l’espece. Quintilien7 marque que cet-
4. Pro Ligorio, 3, 9. 5. AEn., 9, 773. 6. ms. par. 7. Inst. or., 8, 6, 19.
te figure est plus propre aux Poetes qu’aux Orateurs parce queles Poetes son bien plus libres et plus hardis.
Nominis pro nomine positioNom pour nom. Le contenant pourle contenu.
Elle met un nom pour un nom comme lors qu’on exprime
une chose inventée en se servant du nom de l’inventeur, tels quesont Ceres pour le bled, Vulcain pour le feu, Mars pour le com-bat: Vario Marte pugnatur8; Venus pour la volupté, Bacchuspour le vin.
Elle employe le contenant pour le contenu comme elle dit des
villes bien policées, les villes contenant les hommes qui sont po-licés. Et: un siecle malheureux, de la mesme sorte.
Elle exprime ce qui est possedé par le possesseur comme rui-ner un homme lors qu’on a ruiné sa terre, descouvrir unsacrilege, lors que c’est la personne sacrilege qu’on a decouver-te, avoir la science des armes, au lieu de l’art militaire.
Elle attribue à la cause l’effet qu’elle produit hors de soy
comme les Orateurs et les Poetes appellent la mort pasle et lavieillesse triste. Et une colere precipitée, une jeunesse gaye, un re-pos lasche et paresseux.
Rei alicui et pro nomine positioCirconlocution au lieu du nomd’une personne.
Elle use d’une circonlocution noble et figurée au lieu du nom
d’une personne comme au lieu de nommer Jupiter elle dit lePere des Dieux et le Roi des hommes: Divum pater atque homi-num Rex9, au lieu de nommer Scipion elle dit: le destructeur deCarthage et de Numance, au lieu de nommer Ciceron elle dit: lePrince de l’Eloquence Romaine.
8. Trattasi non di citazione ma di espressione di comune uso. 9. AEn., 1, 65; 10, 2; 10, 743.
Quintilien10 dit que les Grecs estoient fort libres en ce point
et qu’on attribuoit à gloire dans la Grece de faire quelque nomnouveau, mais que cette liberté estoit presque toute interditteparmy les Romains. A peine, dit-il, a-t-on permis mesme d’enfaire de ceux qui estoient receus comme sullaturit (que fait Ci-ceron), proscripturit11. Il marque que Laureati portés pour lau-ro coronati estoit nouveau et avoit esté receu favorablement[.]12.
[Nota a margine:]Quintil. 8 c 313. Ciceron a fait de beatus beatitas et beatitudo14. Quintilien dit
qu’on avoit fait plusieurs mots nouveaux des mots Grecs com-me ens pour essentia, que Serge Flave en estoit le principal au-teur. Et il dit qu’il ne sait pas pourquoy on les doit tant rejetter,que les Romains sont des Juges rigoureux et injustes envers euxmesmes et que par cette delicatesse et cette aversion des motsinventés, leur langue demeure pauvre et eux sont incommodésde sa pauvreté. Ciceron15 dit que favor et urbanus estoient nou-veaux et que beatitas et beatitudo, qu’il fait, paroissent un peudurs mais qu’il croyoit qu’ils pouvoient s’adoucir par l’usage. AbusioLocution dont on se sert au defautd’un nom qui manque.
10. Inst. or., 8, 6, 32 (cfr. 8, 3, 32). 11. ad Att., 9, 10, 6. 12. Parole illegibili. Lettura probabile: et non vio pour eo. 13. Inst. or., 8, 3, 32 (ove si legge: Sergius Plautus e non Flavius). 14. De nat. deorum, 1, 95. 15. Citato, come quasi tutti i passi ciceroniani, da Quintiliano, Inst. or., 8,
3, 34. I passi di questo paragrafo sono tratti da Cicerone, Epist., 7, 9 e daFam., 3, 8, 3.
Quintilien16 enseigne que cette figure estoit d’autant plus ne-
cessaire parmy les Romains qu’ils n’avoient pas la liberté de fai-re qu’à peine des noms nouveaux: Virgile selon cette figureEquum divina Palladis arte17. Ciceron18 dit aussy que Terence aesté le premier qui a dit obsequium. Cecile escrivant à SisenneMessala a dit [.]19 reatum Augusto munerarium albenti caelo20. Et Hortense cervicem au singulier au lieu qu’on disoit en prosecervices au pluriel. Quintilien estime qu’il est bon d’estre hardyen ces rencontres et qu’il n’est pas de l’advis de Celse qui def-fend à un Orateur d’inventer des mots nouveaux. Aedificant21: bastir un cheval ne se disant pas proprement et
naturellement. Les Poetes Tragiques disent aussy: Et jam Leopariet et pater est22, ces termes n’estant pas propres à une beste. C’est par cette figure qu’on dit parricide de celuy qui a tué samere et son frere. Ce qui monstre que les Romain ne disoientpoint matricida ny fratricida.
Il y a difference entre la Catachrese et la Metaphore en ce
que la Catachrese a lieu quand un nom propre manque. Et laMetaphore se sert d’un nom estranger et figuré où il y a un nompropre.
Quintilien23 dit que ce n’est pas une Catachrese de donner le
nom de valeur à la servilité et de liberalité à la prodigalité parceque c’est plustost une chose qu’on met pour une autre qu’un
16. Inst. or., 8, 6, 34. 17. AEn., 2, 15. 18. De amic., 89. 19. Due parole illegibili. 20. fr. 103 e 290. Ma la citazione in Inst. or., 8, 3, 34, suona: «reatum nemo
ante Messallam, munerarium nemo ante Augustum dixerat»; al par. 35: «A Si-senna albenti caelo».
21. AEn, 2, 16. 22. Citazione tratta da Inst. or., 8, 6, 34-35, ove si legge: «Aegialeo paren-
tat pater» (Trag. inc., 1461 Ribeck).
Quintilien24 dit que cette figure est tres rare et tres impropre
et qu’elle donne passage de l’un à l’autre.
Les Poetes usent plus librement des Epithetes que les Ora-
teurs. Ils disent: dents blanches, vins humides au lieu que touteEpithete est superflue en prose si elle ne fait rien pour le sens. Ou elle fait quelque chose lors que sans elle l’expression estplus foible comme O scelus abominandum: ô deformem libidi-nem25! Elle sert d’ornement dans les Metaphores comme Cupi-ditas effrenata: insanae substructiones26, et dans la MetonymieTurpis egestas, tristis senectus27.
L’Allegorie est une Image ou Peinture artificielle où l’on re-
presente une chose dans les paroles et une autre dans le sens, etoù l’on se sert d’une chose naturelle pour exprimer une chosemoralle comme Horace descrivant la Republique sous la figured’un Vaisseau agité des guerres civiles dit: O navis referent inmare te novi fluctus? ô quid agis, fortiter occupat portum29. Lesflots marquent les guerres civiles et le port la paix. Il y en a ain-sy dans Virgile30. Ciceron pro Milone31: hoc miror querorquequemquam hominem ita pessum dare alterum verbis velle ut
24. Inst. or., 8, 6, 37. 25. Inst. or., 8, 6, 40. 26. Inst. or., 8, 6, 41. 27. AEn., 6, 275. 28. Cfr. Inst. or., 8, 6, 44-51. 29. Carmina, I, 14, 1-3. 30. Cancellato: dans les Eglogues et dans les Georgiques. 31. Non si tratta di Pro Milone ma di Pro Scauro, 45. etiam navem perforet in qua ipse navigat. L’Allegorie est toutepure en cet exemple. Mais on la mesle souvent avec la chosequ’on veut marquer et à laquelle on veut l’appliquer comme Ci-ceron: Equidem caeteras tempestates et procellas in illis dum-taxat fluctibus concionum, semper Miloni putavi esse subeun-das32. S’il n’eust point ajusté concionum, assemblées c’eust estéune pure allegorie, mais elle est meslée ayant appliqué ces tem-pestes qui est une chose naturelle aux assemblées qui est unechose moralle et civile.
La plus belle espece est celle qui est meslée de 3 figures: de la
comparaison, de l’allegorie et de la Metaphore comme Ciceron
pro Murena: Quod fretum, quem Euripum, tot motus, tantas tamvaria habere creditis agitationes commutationes, fluctus: quantasperturbationes et quantos aestus habet ratio Comitiorum? Diesinterpositus unus, aut nox interposita saepe et perturbat omnia ettotam opinionem parva non unquam commutat aura rumoris33. Mais il faut surtout prendre garde de continuer dans le mesmegenre de metaphore qu’on a commencé: par exemple si l’on acommencé par la tempeste, il ne faut pas continuer par le feuou la ruine, ce qui est une incongruité honteuse. Les allegoriesde frases communes ne sont pas quasi de ce nombre. Il est beauquelquefois de s’en servir de nouvelles car la nouveauté plaist.
Il y a de deux sortes de figures. Celles qu’on peut appeller
d’invention et de pensée: figurae sententiarum, et celles qu’onnomme d’elocution, de style et de mots: figurae verborum. C’esten ces figures que consiste l’art de s’exprimer avec clarté, avecbeauté, avec grace, avec adresse, avec force, avec ornement: lesunes, qui sont celles d’invention et de pensée, forment une
32. Pro Milone, 2, 5. 33. Pro Murena, 17, 35.
conduitte ingenieuse et artificielle dans les choses que nousvoulons dire et nous enseignent à les proposer d’une certainemaniere plus noble et plus belle et plus vive que l’on ne fait sanscet art: de sorte que c’est comme l’esprit qui anime le discourset tient le mesme rang dans l’eloquence que la disposition, ledessein et les postures dans la Peinture, ce que les Peintres ap-pellent l’ordonnance. Les autres figures qui regardent seule-ment l’elocution et le style sont comme les lumieres et les orne-mens du discours et ressemblent au colory. Les figures d’inven-tion et de pensée ont lieu principalement dans la composition etcelles de style dans la version.
Figures d’Invention Figurae sententiarumL’Interrogation34
Quand on peste comme Ciceron Pro Ligario: Quid tuus illeTubero districtus in acie Pharsalica gladius agebat?35 Et contreCatilina: Quousque tandem abutere Catilina patientia nostra?36Cela est bien plus vif et plus ardent, dit Quintilien37, que s’il
avoit dit: Diu abuteris patientia nostra?/Elle a lieu aussy quandon veut exciter à compassion comme Virgile de Simon au 2[e]de l’Eneide: Heu quae me tellus, inquit, quae me aequora pos-sunt accipere!38 Ou de l’Indignation comme Virgile: Et quis-quam numen Junonis adoret?39 Ou de l’admiration: Quid nonmortalia pectora cogis, Auri sacra fames?40
34. Cfr. Inst. or., 9, 2, 7-10. 35. Pro Ligario, 3, 9. 36. Cat., I, 1, 1. 37. Inst. or., 9, 2, 7-8. 38. AEn., 2, 69. In luogo di «me» v’è «nunc». 39. AEn., 1, 48. 40. AEn., 3, 56-57. Per tutte queste citazioni cfr. Inst. or., 9, 2, 10.
Elle a lieu lors qu’on adresse sa parole à quelqu’un comme
Ciceron à Tuberon pour Ligarius42: Quid enim tuus etc., ouquand on invoque une divinité ou quelque chose de sacré com-me Ciceron: Vos enim jam ego Albani Tumuli atque luci?43
Quintilien l’apelle subjectio sub oculos lors qu’on descrit une
chose et qu’on la peint comme presente en sorte qu’il semblequ’on la voit plustost qu’on ne l’entend raconter. Ciceron des-crivant l’entrée de Verres en la place publique dit: Ipse inflam-matus scelere ac furore in Forum venit, ardebant oculi: toto ex orecrudelitas emicabat44. La description des lieux, apellée topogra-phie, est aussy comprise sous cette figure.
Il y en a beaucoup d’autres comme l’Yronie, la Confession
artificieuse, la Reticence, l’interruption, la Digression et autres.
La Regle generalle touchant ces figures c’est de les varier et
de donner diverses faces à un discours. Quintilien dit: dare ac-tioni varios velut vultus. Gaudent enim rei varietate et sicut oculidiversarum aspectu rerum magis detinentur. Ita semper animispraestant in quod se velut novum intendant45.
Lors qu’on fait entrer un sens au milieu d’un discours com-
me Ciceron: Ego cum te (mecum enim saepissime loquor) patriaereddidissem46. Virgile: at Regina dolos (quis fallere possit aman-
41. Cfr. Inst. or., 9, 2, 38. 42. Pro Ligario, 3, 9. 43. Pro Milone, 31, 85. 44. Verr.. V, 62, 161. 45. Inst. or., 9, 2, 40. 46. Pro Milone, 94.
Où l’on ne change pas le sens mais seulement l’expression
comme Virgile: Scipiadas duros bello et te maxime Caesar48. Etailleurs: Polydorum obtruncat et auro vi potitur; quid non morta-lia pectora cogis?49
Quand on repete un mot pour exaggerer comme Ciceron:
Occidi, occidi non Spurium Melium51; ou pour exciter à compas-sion comme Virgile: Ah Corydon! Corydon!52 ou à Indignation:Vivis et vivis non ad deponendam sed ad confirmandamaudaciam53. Et quand on commence plusieurs membres par unmesme mot comme Ciceron contre Catilina: Nihil ne te noctur-num praesidium palatii, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi,nihil eorum ora vultusque monerunt?54 Et quand on finit diversmembres par un mesme mot comme Ciceron: Quis eos postula-vit? Appius. Quis produxit? Appius55. Et celle cy est double caron commence par le mesme mot quis et on finit par le mesmemot Appius. Et dans les oppositions et comparaisons d’une cho-se à une autre on repete le premier mot de part et d’autre com-me Ciceron: Vigilas tu de nocte ut tuis consultoribus respondeas:ille ut etc. Tu actionem instituis; ille aciem instruit. Tu caves, ille
47. AEn., 4, 296-297. Citato da Quint., Inst. or., rist., 9, 3, 23. Le ed. por-
48. Georg., 2, 170. 49. AEn., 3, 55-56-57. I due passi virgiliani sono tratti da Inst. or., 9, 3,
50. Tutti passi citati provengono da Inst. or., 9, 3, 28-45. 51. Pro Milone, 72. 52. Buc., 2, 69. 53. Catil., 1, 4. 54. Catil., 1, 1 (con una lacuna). 55. Pro Milone, 59. etc.56. Et pour varier il change d’ordre et dit: Ille exercitatus estin propagandis finibus, tu in regendis57. Et quand on fait res-pondre un mot du milieu à celuy du commencement commeVirgile:/Te nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda58; ou quand
un mot du milieu respond au dernier comme Ciceron: Haec na-vis onusta praeda sentiet si cum ipsa quoque esset ea praeda59. Etquand on commence 3 membres par un mesme mot comme:Pater hic tuus? patrem hunc appellas? patris tu huius filius es?60.
Quand cette repetition est mise 3 fois dans une periode les
Grecs l’apellent plokh;n comme Perse: Usque adeone sciretuum nihil est nisi te scire hoc sciat alter61.
La repetition aussy a lieu quand on commence un membre
par le mesme mot par lequel on a finy le membre precedantcomme Virgile: vos haec facietis maxima Gallo, Gallo cujus amoretc.62. Les poetes en usent souvent et aussy les Orateurs quel-quefois: Ciceron: Hic tamen vivit: vivit, quin etiam in Senatumvenit63. Et quand on commence plusieurs membres par un ver-be qui est au mesme temps et en ryme comme Ciceron: Dede-rim periculis omnibus, obtulerim insidiis, obiecerim invidiae64. Ou quand on les finit de mesme: Vos enim statuistis, vos senten-tiam dixistis, vos judicastis65.
Conjonction de plusieurs verbes quisignifient la mesme chose66
56. Pro Murena, 22. 57. Pro Murena, 22. 58. AEn., 7, 759. 59. Verr., 5, 44. 60. Rutilio Lupo, Schemata lexeos, 1, 10 (ed. Halm). 61. Persio, 1, 26-27. 62. Buc., 10, 72-73. 63. Catil., 1, 2. Dopo il secondo «vivit» ci vorrebbe un punto interr. 64. Orationum fragmenta, 12, 7. 65. Ibidem. 66. Anche i due passi del paragrafo provengono da Inst. or., 9, 3, 46.
Ciceron: Abiit, excessit, evasit, erupit67. Virgile: Vidi oculosante ipse meos68. Cela est plus pathetique. Lors que le sensn’en est pas plus fort cette conjonction est un vice qu’on apellepleonavsme c’est à dire superfluité, surabondance, sans neces-sité.
Conjonction de plusieurs sens quisignifient presque la mesme chose69
Comme Ciceron: Perturbatio istum mentis, et quaedam scele-rum offusa caligo et ardentes furiarum faces excitarunt70.
C’est une opposition de deux sens exprimés chacun en des
mots semblables et qui se respondent comme Ciceron: Quaeroab inimicis sintne haec investigata, comperta, patefacta, sublata,deleta, extincta per me?72
Quand on use de plusieurs verbes sans les lier par une
conjonction comme: Eos vocari, custodiri, ad Senatum adduciiussi74. Cette figure est propre pour pester et exprimer plus for-tement.
C’est une figure fort belle mais comme elle est fort eclatante
et paroist tousjours affectée elle doit estre rare. Ciceron: Afri-
67. Catil., 2, 1. 68. AEn., 12, 638. 69. Cfr. Inst. or. 9, 3, 47. 70. Pison., fram. 4 Nishet. 71. Cfr. Inst. or., 9, 3, 49. 72. Orationum fragmenta, 12, 8. 73. Cfr. Inst. or., 9, 3, 50. 74. Orationum fragmenta, 12, 9. 75. Cfr. Inst. or., 9, 3, 54-56. cano virtutem industria, virtus gloriam, gloria aemulos compara-vit76.
Conjonction de plusieurs membrespar un mesme verbe ou au commencementou à la fin77
Comme Ciceron: Vicit pudorem libido, timorem audacia, ra-tionem amentia78. Et ailleurs: Neque is es Catilina ut te aut pu-dor unquam a turpitudine aut metus a periculo, aut ratio a furorerevocaverit79. Les Grecs apellent cela sunezeugmevnon80. Celas’apelle aussy trivkwlon, c’est à dire de trois membres dont leson à la fin est en partie le mesme.
Liaison de deux choses differentes81 sunonkeviwsi"
Comme: Tam deest avaro quod habet quam quod non habet82.
L’avare est non plus possesseur du bien qu’il possede, que dubien qu’il ne possede pas: paria contraria. Les pareils contraires.
C’est à dire noms presque semblablesdont le sens est contraire et quel’on oppose ensemble83
1. pavrison de membres peu dissemblables: e membris [.] dissi-
Comme Ciceron: Si in hac calamitosa fama quasi in aliqua per-niciosissima flamma85. Et d’un jeune homme: Non enim tam
76. Rhet. ad Herenn., 4, 34. 77. Cfr. Inst. or., 9, 3, 62. 78. Pro Cluentio, 15. 79. Catil., 1, 22. 80. Oggi si legge: ejpezeugmevnon. 81. cfr. Inst. or., 9, 3, 64. 82. Publilio Siro, Sententiae, 628 Meyer. 83. Inst. or., 9, 3, 75-80. 84. Una parola abbreviata illeggibile. 85. Pro Cluentio, 4. spes laudanda quam res est86. Ou quand le son est le mesmedans les dernieres syllabes comme: Non verbis sed armis87. Etcela est d’autant plus beau qu’il y a plus de sens et plus de poin-te comme: Quantum possis, in eo semper experire ut prosit88.
2. oJmoiotevleuton. La 2e figure s’appelle similiter finiens.
C’est à dire deux membres qui finissent par un mesme son etune mesme ryme comme Ciceron: Non modo ad salutem ejus ex-tinguendam sed etiam gloriam per tales viros infringendam89. Ellea lieu mesme en plusieurs verbes comme Ciceron: Abiit, excessit,erupit, evasit90
3. oJmoiovptwton. similis casus. La 3e fort semblable à la 2[e]
s’apelle similis casus, mesme cheute, et elle est differente de la2[e] estant qu’elle ne comprend pas seulement ce qui a une finsemblable mais enferme une conformité et un rapport entre lesmembres de la periode en sorte que les premiers mots se re-spondent ou qu’ils respondent à ceux du milieu ou à ceux de lafin ou que ceux du milieu respondent aux premiers et les der-niers à ceux du milieu. Enfin de quelque sorte qu’ils se respon-dent dans une mesme cheute ils sont compris dans cette figurequi est des plus belles. Exemple de l’Orateur Domitius Afre:Amisso nuper infelicis aula si non praesidio inter pericula, tamensolatio vitae inter adversa91. La plus grande beauté consiste ence que les deux commencemens de la periode et de la pensée serespondent comme icy praesidio et solatio et les 2 fins pericula,adversa. Ea videntur optima, dit Quintilien, in quibus initia sen-tentiarum et fines consentiunt ut hic praesidio solatio. Et ut penesimilia sint verbis et paribus cadant et eodem desinant modo92.
86. De Rep., fram. 5 Ziegler. 87. Rutilio Lupo, Schemata lexeos, 2, 12. 88. Tale sentenza è di incerta origine. 89. Pro Milone, 5. 90. Catil., 2, 1. 91. Domizio Afro, Fragmenta oratorum romanorum, p. 569, Meyer2. 92. Inst. or., 9, 3, 79.
4. isovkwlon membra aequalia. La 4[e] figure, presque toute
semblable à cette 3[e] et qui adjouste à la beauté de la 3e, c’estque dans cette mesme cheute les membres soient egaux. Ce quis’appelle ijsovkwlon. Membra aequalia. Comme Ciceron: Siquantum in agro locisque desertis audacia potest tantum in foroatque judiciis impudentia valeret93. Les deux membres sontegaux et il y a une mesme cheute. Similis casus et membra aequa-lia. Il continue: Non minus nunc in caussa cederet Aulus CecinnaSexti Ebutii impudentiae quam tum in vi facienda cessitaudaciae94. Les 3 figures sont là, les deux membres egaux, lamesme cheute et le mesme son à la fin. Et le changement dutemps cederet, cessit, fait aussy grace. On joint à cette figure unequi est composée d’un mesme son à la fin, c’est à dire ryme, etd’un jeu qui se fait en 2 mots qui sont presque tout semblablesquoy qu’ils enferment un sens diffe/rent comme: Neminem pos-se alteri dare matrimonium nisi quem penes sit patrimonium95.
Elle a lieu quand on oppose chaque chose à chaque chose
comme Ciceron: Vicit pudorem libido, timorem audacia, ratio-nem amentia97. Et deux à deux comme: non nostri ingenij, vestriauxilij est98. Et une pensée à une pensée, sententiae sententijs,comme dominetur in concionibus, jaceat in judicijs99. A quoy l’onpeut joindre la figure appellée cy dessus distinction, comme:Odit populus Romanus privatam luxuriam, publicam magnificen-tiam diligit100. Et les periodes où les mots d’une mesme cheute
93. Pro Caecina, 1. 94. Ibidem. 95. Ibidem. 96. Cfr. Inst. or., 9, 3, 81-86. 97. Pro Cluentio, 15. 98. Pro Cluentio, 4. 99. Pro Cluentio, 5.
et d’un sens opposé sont mis à la fin comme: Quod in temporemali fuit nihil obsit: quin quod in caussa boni fuit prosit101. Maisils ne se mettent pas tousjours à la fin, comme: Est enim haec ju-dices non scripta, sed nata lex102. Car il n’y a pas: non lex scriptased nata. L’Antithese est belle dans ce qui suit chaque mot estantopposé à l’autre: quam non didicimus, accepimus, legimus: verumex natura ipsa arripuimus, hausimus, expressimus103.
Dans l’antithese entre encore une autre figure appellée Anti-
metabole c’est à dire repetition des mesmes verbes en un sensdifferend, comme: Non ut edam vivo, sed ut vivam edo104. [Car105 la severité de la premiere est penible sans la gayeté de laseconde, et la gayeté de la seconde semble un peu trop libresans la gravité de la premiere. Vie de St Ber[nard], 600]. Etquand avec une conversion et un changement des mots pourfaire un sens differend il y a encore rencontre dans une mesmeryme à la fin, comme Ciceron: Ut et sine invidia culpa plectaturet sine culpa invidia ponatur106. Et le mesme parlant de Rosciuscomedien: Etenim cum artifex ejusmodi sit ut solus dignus videa-tur esse qui Scenam introeat, tum vir ejusmodi sit ut solus videa-tur dignus/qui eo non accedat107.
Il y a aussy grace à opposer les noms ensemble, comme Cice-
ron: Si Consul Antonius Brutus hostis, si conservator Reip. Bru-tus hostis Antonius108.
Il se trouve une infinité d’autres sortes d’expressions qui en-
101. Pro Cluentio, 80. 102. Pro Milone, 10. 103. De oratore, 3, 207. 104. Cfr. Rhet. ad Herenn., 4, 39. 105. La frase tra parentesi quadre è nel margine e si deve ad altra mano. 106. Pro Cluentio, 5. 107. Pro Quinctio, 78. 108. Philip., 4, 8.
[1] La regle de ces figures d’elocution est de s’en servir à
propos et avec discretion estant belles lors qu’elles sont bienmenagées et bien distribuées, et estant ridicules lors qu’ellessont trop recherchées et trop affectées. [2] Si on neglige la no-blesse des pensées, la force du raisonnement et la vigueur dustyle et des pointes pour s’amuser à remplir un discours de fi-gures d’elocution, d’antitheses et de jeux dans les mots, on ne-glige le corps et on s’amuse à l’habillement. [3] Lors mesme queces figures sont faites selon les regles il ne les faut pas trop mul-tiplier parce que le visage de l’Oraison ne doit pas estre telle-ment embelly par l’art que sa beauté ne paroisse tousjours plusnaturelle qu’artificielle. [4] La sage distribution de ces figuresdepend du discernement de ce qui est dans la bienseance selonle lieu où on les employe, selon la personne et selon le temps: lapluspart d’elles estant employées pour plaire et rendre le dis-cours plus agreable. C’est pourquoy on s’en doit passer lorsqu’on veut exprimer des passions vives et naturelles comme lorsqu’on fait parler une personne en colere, ou une qui pleure, ouune qui demande et qui suplie, parce que le choix des mots etl’affectation des figures ne compatit point avec des passions etdes mouvemens du coeur et que l’ostentation de l’art fait dou-ter de la verité.
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